Racconto dell'arrivo degli anime in Italia: dal successo strepitoso degli esordi al declino di tante serie rimaste nel cuore di molte generazioni.

 

Il pomeriggio di martedì 4 aprile 1978 era destinato in qualche modo a passare alla storia: alle 18:45 sulla rete Due, nel corso di Buonasera con… condotto quel mese dal Quartetto Cetra, andò in onda Ufo robot Grendizer (titolo originale in Giappone) ovvero Atlas Ufo Robot, meglio conosciuto come Goldrake: si trattava della prima serie robotica giapponese a cartoni animati ad apparire sui nostri schermi. Il successo fu notevole e ai bambini non sembrava vero di vedere in tv personaggi nuovissimi nell’aspetto e nell’azione, che vivevano storie avventurose, scandite da tormentoni musicali e riproposte in un numero interminabile di episodi. Per Goldrake, da Actarus, per esempio, ne servirono ben 74.


Le storie si discostavano dalle marachelle dell’orso Yoghi, o dagli inseguimenti di Gatto Silvestro a caccia del canarino Titti, programmati al massimo una volta alla settimana. I nuovi cartoni animati provenienti dal Giappone si distaccavano nettamente dalle classiche tematiche proposte da quelli americane della Warner Brothers, di Walt Disney o di Hanna e Barbera. Le nuove trame avevano per protagonisti robot in leghe cinque volte più dure dell’acciaio, armati di tutto punto e capaci di colpi precisi e feroci per sconfiggere nemici provenienti da pianeti lontani. Queste creature inossidabili rappresentavano lo specchio della fiducia nel futuro dei giapponesi, ritrovata grazie alla forza della loro tecnologia che oltre ad averli resi ricchissimi li aveva riscattati dalla sconfitta della Seconda Guerra mondiale e dagli orrori della bomba atomica. In breve scattò la Goldrekmania. I volti giovani dei nuovi personaggi, le loro armature e il coraggio insuperabile nel combattimento si dimostrarono una miscela vincente ed esplosiva: gli indici di ascolto televisivi schizzarono alle stelle e furono ben nove le sigle italiane create negli anni per inneggiare al robot più famoso della terra.

Goldrake era il capofila dei robot anime, ma il suo successo era stato preceduto da quello di Heidi approdata alla rai nel 1976 e seguita l’anno successivo da Vicky il Vichingo. Il cartone con Heidi come protagonista era tratto dal romanzo della scrittrice svizzera Johanna Spyri pubblicato nel 1880. Ma fu solo una delle tante serie animate giapponesi ispirata a opere letterarie occidentali. Le vicende dell’orfanella spedita a vivere con il nonno a Maienfeld, un paesino svizzero che divenne rinomatissimo tra i giapponesi, i quali si recavano anche per celebrare i cosiddetti Heidi Kekkonshiki cioè i matrimoni in stile Heidi, aprirono insieme a Goldrake la strada a tutti gli altri anime.


Uno dopo l’altro si susseguirono cartoni di culto da vedere e rivedere: dal 1979 al 1983 fecero la loro apparizione sui nostri schermi ben 150 serie, tra cui Mazinga Z, Gundam, Capitan Harlock, Star Blazer, Conan, L’ape Maia, Le avventure dell’ape Magà, Remì le sue avventure. Molti cartoni erano rivolti alle ragazzine, come Anna dai capelli rossi ispirato al libro omonimo della scrittrice canadese Lucy Maud Montgomery, Sally la maga e Candy Candy. Ma fu lanciato anche Lady Oscar, che racconta l’intrigante storia di una giovinetta costretta dal padre a vivere nei panni di un uomo. Il personaggio è tratto dal manga della fumettista Riyoko Ikeda. Il cartone nella madrepatria era intitolato Berusaiyu no bara (Le rose di Versailles): furono gli adattatori italiano ad anteporre al nome della protagonista Lady (damigella) per attenuare il dramma di una ragazza costretta a vivere come un uomo.

 

I bambini tirati su a ‘’pane e anime’’ preferivano Mazinga a Pinocchio, almeno secondo i sondaggi dei giornali dell’epoca. 

Oltre a voler completare gli album con le figurine dei loro nuovi eroi, desideravano solo giocattoli che li riproducevano e canticchiavano le colonne sonore delle loro gesta. Il robot d’acciaio Jeeg, l’uomo Tigre, il geniale ladro Lupin III, il leone bianco Kimba e tanti altri personaggi arrivati dal Giappone occuparono il centro delle loro fantasie, ma suscitarono anche accese discussioni e polemiche tra gli adulti, divisi tra appassionati e demonizzatori.


Molti sociologi, giornalisti, psicologi e opinionisti accusarono i nuovi cartoni di essere diseducativi e inadatti ai piccoli telespettatori: nei volti dei personaggi si indicava un’ambiguità sessuale poco gradita e nei gesti troppa violenza. Anche se la maggior parte dei genitori si appassionava e sedeva accanto ai figli davanti alla tv, alcuni arrivarono a definire i cartoni dannosi per il corretto sviluppo mentale dei bambini. Ad allarmare fu anche l'invasione dei cartoni: acquistati dalle emittenti private per coprire i palinsesti e vendere pubblicità, venivano trasmessi per molte ore al giorno. Persino i politici sollevarono un polverone: i partiti di destra e quelli di sinistra trovarono negli anime un terreno su cui scontrarsi. Silverio Colvisieri, allora deputato e membro della Commissione di vigilanza Rai, fece molto di più. Rivolse un’interpellanza parlamentare e, in un articolo pubblicato il 7 gennaio 1979 gennaio su Repubblica, lamentò il mancato filtro della nostra televisione di Stato sui cartoni animati giapponesi. L’onorevole fece proseliti e all’inizio del 1980 quando, terminò la serie Goldrake, la Rai cominciò a trasmettere Mazinga Z, creato in Giappone con la collaborazione delle aziende di giocattoli, si scatenò il putiferio.

Un gruppo di genitori di Imola (BO) raccolse più di 600 firme e si rivolse ai ministri delle Poste e delle telecomunicazioni e della Pubblica istruzione, alla Rai e all’agenzia d’informazioni Ansa chiedendo di interrompere le trasmissioni. La protesta ebbe alla lunga l’effetto sperato: se nel 1983 si contavano ben 39 serie, l’anno dopo ne furono trasmesse solo 14.


 Le importazioni dei nuovi prodotti dal Giappone frenarono, mentre si diede spazio alle coproduzioni: Marco Pagot, figura di riferimento dell'animazione italiana, volò in Giappone e insieme a uno dei maestri dell'animazione giapponese, Hayao Miyazaki, realizzò Il fiuto di Sherlock Holmes, cartone ispirato ai romanzi di Arthur Conan Doyle.   

 

C'era chi considerava gli anime brutti e malfatti e, in effetti, i costi di produzione erano allora elevatissimi: per una puntata di 30 minuti della prima serie televisiva di Tetsuwan Atomu, andata in onda in Giappone nel 1963 ed esportata negli Usa con il titolo di Astroboy, occorrevano almeno 12 disegni per un secondo di film e uno staff di oltre 350 persone. per contenere i costi, i giapponesi puntarono su storie povere di animazione ma incalzanti nella trama e realizzate con tecniche cinematografiche come cambi d'inquadratura e d'intensità di luce,zoomate, panoramiche e dissolvenze. La Rai perse ben presto interesse per gli anime, divenuti appannaggio delle reti Fininvest e di altre tv private locali. Tuttavia, già alla fine degli anni 80, i cartoni animati giapponesi non erano più un business.

Nel 1990 la legge Mammì, proibendo le interruzioni pubblicitarie durante i cartoni, li rese economicamente poco convenienti: a questi si cominciarono così a preferire i telefilm adoloscenziali americani. Dopo questa frenata, i cartoni animati conobbero però una seconda giovinezza. I bambini che nel 1978 avevano seguito Goldrake erano ormai maggiorenni e cominciarono ad acquistare gli Original Video animation (Ova), cioè i cartoni animati disponibili in videocassetta a prezzo contenuto. Andavano a ruba anche le riviste specializzate in anime pubblicate dalle case editrici che traducevano i fumetti giapponesi e le mostre di fumetti conobbero un boom di visitatori.


Nuovi successi come I cavalieri dello zodiaco, Sailor Moon, Pokemon, Dragon Ball e Power Rangers, furono trasmessi nel decennio 1990-2000 dalle emittenti private, che monopolizzarono il mercato dell'animazione nipponica, spesso però trasmessa con tagli e censure. L'unica televisione che decise di andare incontro alle richieste del pubblico adolescenziale mandando in onda gli anime con trama originale e a cadenze regolari (una volta alla settimana e e nella fascia serale, come in Giappone) fu Mtv. Era il 1998 e quella scelta, che permise di vedere sullo schermo serie come Golden Boy,Alexander, Blue Submarine N°6, Neon Genesis Evangelion, rappresentò una svolta per gli appassionati: l'animazione del Sol levante aveva trovato la giusta collocazione. E potè finalmente contribuire, superando le maglie strette della censura degli anni 80, a far conoscere il mondo giapponese, la sua lingua, la sua musica e le sue tradizioni. Nonostante tutto su molte serie del passato calò l’oblio, tante non furono mai ritrasmesse per molti anni mentre di alcune si sono perse le tracce.  Da alcuni anni, con l’arrivo delle reti satellitari gratuite (alcune a pagamento), è possibile rivedere molti anime, ma  è solo grazie alla passione di molti ragazzi cresciuti negli anni 70-80,  e ai loro minuziosi lavori amatoriali, che rarissime serie sono ritornate alla luce dopo decenni.

 

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